Barba, baffi, chioma, bretelle, sigaretta, quell’aria tra sornoia e fuggitiva, quella voce del Sud, che rompe un silenzio quasi per educazione, più che per necessità, Rosario Bellante dapprincipio, non lo conosci e non lo capisci proprio. Perfino la sigaretta che tiene in bocca come un pezzo di pane, un fiore, non gli è congeniale.

E per la verità come cerchero` di dire in questa mia testimonianza, poche sono le cose di cui si veste e si contorna entro cui stia bene, anima candida acuminata, bontà di essere umano allo stato naturale, senza pero` ignorare di naif o presunzioni di messia.

Come tutti i talenti nativi, a mano a mano che resta solo, migliora, fino ad apparire quello che è quando pensa e dipinge: un temperamento, intanto, cosi` innamorato della vita, che nella luce dorada della sua Sicilia orientale dove è nato e cresciuto, mette giovani d’ambo i sessi amati allo stesso modo grazia ed allegria di sentimenti circola nella sua giornata; professione ed esistenza fanno tutt’uno sentire, immaginare, desiderare sono per lui lo stesso verbo.

Li` per li` ci si puo` sbagliare, perchè parla quasi come un sardo, approssimativamente, ma la sua reticenza è solo fattami  pudore, che nessuno cioè abbia a capir male e soprattutto, che non si creda che lui non sia al corrente degli ismi del secolo e delle trans avanguardie e di come per esempio i suoi frutti di ceramica abbiano visto quelli di Magritte e, se volete, anche quelli di Oldemburg e degli altri apologisti del consumo della pop americana.

Persuaso, dolce, pervaso di una antica dignità, per cui certi suoi gesti di ospite ad ospite sembrano venergli fuori dagli antenati della Magna Grecia, come pure il mondo quasi infantile con cui si diverte a condividere le meraviglie dei bambini davanti ai suoi trofei ceramistici di melograne, di cavoli, carciofi e finocchi, di mandarini sbucciati a mezzo cogli spicchi fuori, Rosario esprime prima di tutto una felice unità fra uomo e pittore, tra vocazione e professione, e conforta col suo esempio ancora una volta quanti hanno per certo che il destino dell’arte non si fabbrica coi mass media e che, per quanto ridicolizzata, esiste ancora, anzi è quella che ancora conta, la civilità del merito.

Hanno scritto di lui: Franco Cardini, Antonio Carbè, Franco Manfriani, Helmut Pomplun

Critico: Marcello Venturoli

 

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